giovedì 4 febbraio 2010

Il Meridione nell'opera letteraria di Corrado Alvaro


Corrado Alvaro nacque a San Luca, Reggio Calabria nel 1895.
Gente in Aspromonte, unanimemente riconosciuto come il suo capolavoro è un romanzo breve che narra la storia, ambientata nei primi anni del Novecento, della dura vita dei pastori d’Aspromonte, subito descritta, fin dall’incipit del romanzo, con una cadenza profonda: «Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque…».
L’inizio della storia è una evocazione della vita in Aspromonte, che è un tutt’uno con il paesaggio severo, solenne, con il respiro pesante delle mandrie, con le capanne «di frasche e di fango» nelle quali «si entrava carponi», abitate dai pastori nella stagione invernale, con i pellegrinaggi al Santuario della Madonna di Polsi e le manifestazioni di pietà popolare, con i canti che si odono, «intramezzati dal rumore dell’acqua nei crepacci», con il suono della zampogna…
Protagonista è la famiglia del pastore Argirò, che sogna la possibilità di uscire dalle terribili condizioni di vita, dalla miseria secolare, da quella subordinazione ai proprietari, ai padroni delle terre e delle mandrie, di tipo ancora quasi feudale, e di portare almeno uno dei figli sino alla dignità degli studi. Sperando di potercela fare, Argirò sottopone sé e i suoi ai sacrifici e alle fatiche più aspre. Ma una serie di disavventure, dalla perdita dei buoi che aveva avuto in custodia dal padrone Filippo Mezzatesta, che precipitano in un burrone, all’incendio doloso della sua stalla, lo costringono a rinunciare a questo arduo quanto legittimo progetto. Il figlio, Antonello, matura dentro di sé, e sulla sua pelle, la coscienza della posizione subalterna della sua famiglia e della classe sociale a cui appartiene, e quindi delle profonde ingiustizie sociali che si rinnovano come in un ciclo perpetuo, e diviene protagonista di un atto di ribellione e di disperazione assieme: si darà alla macchia, e dopo aver massacrate le mandrie del padrone e distribuito la carne ai compaesani, butterà il fucile e si consegnerà ai carabinieri. «Finalmente», disse, «potrò parlare con la Giustizia, chè ci è voluto per poterla incontrare, e dirle il fatto mio!»
Quella dei pastori «è una vita alla quale occorre essere iniziati per capirla, esserci nati per amarla, tanto è piena come la contrada, di pietre e di spine». Il mondo pastorale viene così evocato con un originale taglio narrativo: lirica trasfigurazione del ricordo di chi vive altrove, ma è nato in quella terra e quindi può capirla e amarla, che però non esclude una precisa attenzione ai problemi economici e sociali. Infatti la rievocazione del mondo calabrese, pur se filtrata dalla memoria e da quella visione quasi idilliaca dei luoghi natii che in Alvaro si avverte, è una denuncia della vita miserabile dei pastori, delle ingiustizie profonde, della spietatezza dei rapporti sociali, della mentalità chiusa in un’ancestrale superstizione e in una secolare arretratezza culturale e sociale
Ma quel mondo possedeva anche una sua intrinseca bellezza e dei valori profondamente radicati, che poi si identificano, agli occhi di Alvaro, coi ricordi della sua infanzia e con quel costante sentimento di nostalgia, che sempre provò per la sua terra. Questo mondo, severamente giudicato da Alvaro, ma nel contempo, amorosamente rivissuto, era veramente così, ma non bisogna piangere su di esso; occorre invece custodirne gelosamente la memoria.

1 commento:

  1. Non si può provare nostalgia (o "custodirne la memoria") per una terra che offre solo miseria,disoccupazione e delinquenza,obbligando i suoi abitanti ad andare lontano.

    firmato da Anonimo

    RispondiElimina