giovedì 30 dicembre 2010


martedì 14 dicembre 2010

Piaghe di Calabria: l'emigrazione verso la Germania


Quel giorno di dicembre di 50 anni fa la guerra era un ricordo ancora vivo e l’unità europea poco più che una chimera. L’Italia e la Germania erano alle prese con problemi contrapposti. A Sud delle Alpi, specie nel Mezzogiorno e nelle campagne, c’era un esubero di manodopera, ma mancavano le materie prime. In riva al Reno era in atto il boom economico, ma mancavano le braccia necessarie alla produzione.


L’accordo fu trovato molto velocemente e con un ritorno politico per entrambi i governi. Con la valvola di sfogo dell’emigrazione, la Dc e i suoi alleati gettavano acqua sul fuoco delle rivendicazioni sociali dei contadini meridionali, che in quegli anni erano passati più volte alle vie di fatto, occupando i latifondi e scontrandosi duramente con la polizia e gli eserciti privati degli agrari. Da parte sua il governo Adenauer puntava a introdurre nel paese manodopera a basso costo con cui arginare le rivendicazioni salariali del movimento operaio e sindacale tedesco.

Le condizioni per uno scontro frontale tra i “Gastarbeiter”, come venivano chiamati gli italiani, e i lavoratori autoctoni c’erano insomma tutte, specie se si pensa che l’occupazione tedesca da una parte e il “tradimento” italiano dall’altra erano ricordi vicini e tragici per tutti. E, in effetti, l’accoglienza riservata ai ragazzi che arrivavano dal Sud fu, all’inizio, molto dura.
A rileggere le cronache del tempo ci si trova di fronte ad un’incredibile serie di pregiudizi: l’italiano fannullone che ruba lo stipendio che il tedesco si guadagna onestamente, l’italiano assatanato che molesta le donne tedesche, l’italiano accoltellatore e via farneticando. Della lista dei luoghi comuni faceva chiaramente parte anche l’immagine dell’italiano nemico giurato dell’igiene. Peccato che ben pochi cronisti del tempo avessero l’onestà di raccontare che i “Gastarbeiter” venivano alloggiati, a decine per stanza, in baracche fatiscenti e senza servizi igienici ai margini delle fabbriche. Spesso le stesse in cui avevano penato, fino a 10 anni prima, gli “Zwangsarbeiter”, i lavoratori coatti, anche italiani, schiavizzati dai nazisti.

Sul lavoro le cose non andavano certo meglio. Considerati carne da lavoro dai padroni e denigrati dai colleghi che vedevano in loro degli usurpatori dei posti destinati ai “fratelli dell’Est”, gli italiani potevano consolarsi solo con il rispetto dei minimi contrattuali che il sindacato tedesco era riusciti ad imporre al governo e al padronato per tutelare dal dumping i propri iscritti.
Se è vero che il lento processo di integrazione degli italiani è passato in primo luogo dall’adesione al Dgb (il sindacato unitario tedesco), è anche, però, vero che per anni i funzionari sindacali hanno visto nei “Gastarbeiter” sia dei potenziali crumiri, che, paradossalmente, dei pericolosi agitatori. Il fatto stesso di provenire dal paese con il partito comunista più forte dell’Europa occidentale era motivo di sospetto anche per i militanti del Dgb e della Spd in quegli anni di paranoia maccartista.

Il trattato sulla libera circolazione all’interno dei paesi aderenti alla Cee (1961) permise agli italiani di effettuare i primi ricongiungimenti familiari e di spostarsi a più riprese tra Italia e Germania. Erano le premesse sia per la nascita di una comunità stabile, con tanto di patronati, associazioni religiose e ricreative, che per il fenomeno del pendolarismo tra i due paesi, che, a detta di alcuni studiosi, in questi 50 anni ha interessato oltre 3 milioni di persone.
A differenza degli altri gruppi di “Gastarbeiter”, gli italiani risentirono meno del blocco dell’afflusso di manodopera dall’estero, voluto dal governo federale nel 1973 per fronteggiare la crisi economica. Molti ex “Gastarbeiter”, spesso sposati con cittadine tedesche e padri di bambini nati in Germania, si riciclarono come piccoli imprenditori, aprendo ristoranti, bar, gelaterie e negozi.

Oggi siamo alla terza generazione di italiani in Germania. Gli ex “Gastarbeiter” e i loro discendenti sono diventati parte della società tedesca e hanno contribuito a modificarne le abitudini e lo stile di vita. Chi lo desidera adesso può ottenere la cittadinanza tedesca, senza dover più rinunciare a quella d’origine. Con buona pace della destra, che fino a qualche anno fa con Helmut Kohl si ostinava a ripetere che la Germania non era “un paese d’immigrazione”, quella tedesca è una società multiculturale. E questo anche grazie ai “Gastarbeiter” arrivati dal Sud 50 anni fa.

Eppure i tanti problemi ancora sul tappeto (dall’altissima percentuale di disoccupati tra gli italiani, al disastroso rendimento scolastico dei giovani in una scuola tedesca selettiva e classista, fino al disinteresse per la politica) mettono in discussione i risultati ottenuti sulla via dell’integrazione.

Di : Tommaso Pedicini

martedì 7 dicembre 2010

Stadio pieno per l'addio ai ciclisti.Funerali "sconsigliati" ai marocchini.

Dopo la notte di veglia alla chiesa "San Giovanni Battista di Calabria", esequie allo stadio per i sette cicloamatori falciati domenica scorsa sulla statale 18. Avrebbe voluto esserci anche la comunità nordafricana. La Questura: meglio di no. Peggiorano le condizioni di uno dei tre sopravvissuti

LAMEZIA TERME - In uno stadio "Guido D'Ippolito" gremito, si celebrano a Lamezia Terme i funerali dei sette cicloamatori travolti e uccisi domenica mattina 1 sulla statale 18 dall'auto guidata da un uomo sotto effetto di cannabis. All'ingresso delle sette bare, nello stadio si leva un applauso scrosciante, rotto dalle urla di dolore dei familiari. Aprono il corteo gli atleti della squadra di cui le sette vittime facevano parte. I ciclisti si dispongono ai margini del tappeto sul prato dello stadio, aprendo un corridoio attraverso il quale i sette feretri raggiungono l'altare. Ogni bara è accompagnata da una bicicletta. Le casse sono poste su un palchetto rialzato, accanto le foto dei sette ciclisti. Dietro il corteo c'era il sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza, visibilmente commosso. Presente il sottosegretario al Ministero dell'Interno Michelino Davico in rappresentanza del Governo, come numerose sono le autorità civili e militari presenti, tra cui il sindaco di Catanzaro Rosario Olivo e i rappresentanti di Regione e Provincia. Secondo stime delle forze dell'ordine, sono almeno in 5mila a seguire le esequie allo stadio. Fa molto caldo, a Lamezia. Caldo che, assieme all'incontenibile emozione, determina il malore in due giovani, un ragazzo e una ragazza, a cui i sanitari del 118 prestano soccorso.

"Il gesto più grande: amare e perdonare". "Davanti alla morte noi restiamo attoniti. Davanti a queste morti siamo inermi e profondamente rattristati. Nel cuore della domenica, la notizia dell'incidente che ha coinvolto questi nostri fratelli ci ha travolti, ha gettato tutta la città in un turbine di dolore. Ha parlato al cuore di tutti gli uomini e di tutte le donne d'Italia". Così il vescovo Cantafora nel corso della sua omelia. "Noi abbiamo sempre bisogno di capire le dinamiche, spiegare le cause di fatti così terribili, attribuire le colpe. E quindi è cominciata la ridda di sentimenti contrastanti e di sfoghi legittimi. Ma, davanti a questi nostri fratelli, davanti al dramma della vita e della morte, le domande si fanno più profonde, cercano risposte, oltre che in noi, soprattutto nella parola di Dio. Dinanzi a questo grande dolore non ci resta che fissare il volto del Cristo morente, totalmente abbandonato al Padre: solo così quel cuore ha trovato pace. Siamo qui per esprimere fraterna solidarietà ai familiari. Ci sentiamo in questo momento coinvolti nella responsabilità di vivere il gesto più grande: comprendere, amare, perdonare. Non è questo il tempo di puntare il dito o di cadere nei luoghi comuni.
Piuttosto, chiediamo al Signore di saper accogliere la sua luce che viene dall'alto".

Pellegrinaggio alla camera ardente. Per tutta la notte e fino a poco prima delle esequie, centinaia di persone si sono messe in coda davanti alla chiesa di San Giovanni Battista di Calabria, dove è stata allestita la camera ardente. Preghiere, fiori, lacrime e parole di conforto ai familiari dei ciclisti morti. Nella chiesa si è protratta fino a tarda ora una lunga veglia di preghiera celebrata dal vicario della diocesi di Lamezia, don Pasquale Luzzo. Sui feretri, sistemati intorno all'altare, le foto e le maglie dei ciclisti. Il sindaco di Lamezia, Gianni Speranza, ha proclamato il lutto cittadino e ha invitato i commercianti, le scuole e gli altri uffici pubblici a osservare un minuto di silenzio in concomitanza con l'inizio i funerali.

Peggiorate condizioni di un sopravvissuto. All'arrivo frontale di quel bolide impazzito dopo un sorpasso azzardato, erano dieci i ciclisti sulla statale 18, in località Marinella. Solo tre sono sopravvissuti. Fuori pericolo Fabio Davoli, ricoverato all'ospedale di Catanzaro, e Gennaro Perri, ora nel nosocomio di Lamezia Terme. Peggiorano invece le condizioni di Domenico Strangis, ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale di Cosenza e sottoposto ieri sera a un nuovo intervento chirurgico.

Gli altri sette ora sono lì, sette bare allineate una accanto all'altra. In perfetto ordine, come quando i sette amici andavano in bicicletta e si allineavano in fila indiana per tagliare il vento. Franco Bernardi, professore di educazione fisica, fondatore della palestra Atlas che li aveva fatti conoscere, Rosario Perri, Franco Stranges, Domenico Palazzo, Pasquale De Luca, Vinicio Puppin e Giovanni Cannizzaro. Un bidello, due avvocati, il meccanico, il giovane commerciante. Diversi per età, idee, professione, ma uniti dalla stessa passione che ogni domenica li faceva uscire di casa di buon mattino per affrontare a forza di pedalate cinquanta, settanta chilometri.

La comunità marocchina. Finché, domenica mattina, i loro destini non hanno incrociato quello di del giovane marocchino Chafik El Ketani, 21 anni, l'uomo al volante della mercedes assassina, arrestato per omicidio colposo plurimo aggravato dall'assunzione di cannabis. L'intera comunità marocchina di venditori ambulanti, circa duemila persone, ha subito manifestato la volontà di partecipare ai funerali per stringersi accanto alle famiglie dei ciclisti. Ma la Questura le ha sconsigliato di esserci, stamattina.

"Siamo vicini alle famiglie delle vittime - ha fatto sapere in serata la comunità marocchina - anche se le condizioni della grande disgrazia non ci permetteranno di essere presenti ai funerali. Ci teniamo a informare che domani ci uniremo in preghiera per commemorare e ricordare la vita spezzata di questi nostri fratelli".

Fonte: Repubblica.it

giovedì 2 dicembre 2010

Crotone. Approvato il progetto per l'ampliamento del canile


E' stato approvato dalla Giunta Comunale il progetto definitivo relativo alle opere di completamento dell'oasi canina comunale, sita in località Martorana, per complessivi 150.000 €
Il progetto prevede la realizzazione di ulteriori moduli che incrementano la capacità ricettiva dell'oasi rifugio per cani, con ulteriori interventi manutentivi finalizzati al miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e funzionali della struttura in oggetto.
Il progetto prevede, inoltre, la sistemazione della strada che porta al canile.
L'opera rientra nell'ambito della convenzione urbanistica stipulata con la società Ma.mi.do s.r.l. che si è obbligata nei confronti del Comune alla realizzazione del completamento del canile municipale.
Si tratta di un intervento che si propone una duplice valenza, da un lato aumentare la possibilità di accoglienza per i cani abbandonati e consentire agli stessi di vivere in buone condizioni igienico - sanitarie e dall'altro quello di sistemare anche la strade di accesso al fine di consentire agli operatori ed ai volontari, che tanto si spendono per gli amici a quattro zampe, di svolgere la propria attività in condizioni ottimali.